LA NAZIONE
Mercoledì 5 maggio 1954.

Tragedia e lutto in Maremma


Il dramma dei sopravvissuti
La terra ha tremato 
Immediata assistenza ai congiunti delle vittime
Il fiato del demonio
La commemorazione in parlamento


SEPOLTI VIVI PIU' DI CINQUANTA OPERAI
IN UNA MINIERA DI LIGNITE DEL GROSSETANO

Quattordici morti già accertati – non si sa quanti minatori sono ancora prigionieri nel pozzo crollato – La sciagura è avvenuta per uno scoppio di grisou – La generosa opera di soccorso.

Una spaventevole catastrofe ha sparso la disperazione e il lutto nell'intera Maremma.
Stamani alle otto e quaranta in punto, nella miniera di lignite di Ribolla, della Società Montecatini, uno scoppio di grisou ha fatto crollare alcune gallerie, assai profonde, nel pozzo chiamato “Camorra”.
La deflagrazione ha fatto cedere altre pareti circostanti, e un gran numero di minatori è rimasto sepolto. Dove non è accaduto un vero e proprio crollo si sono verificate ostruzioni tali da imprigionare altri operai, ai quali quasi subito è venuta a mancare la possibilità della respirazione.
Chi si trovava all'aperto ha avuto immediatamente la sensazione d'una immensa catastrofe.
I primi accorsi verso l'imbocco della galleria si sono visti apparire dinanzi raccapriccianti figure di uomini, il volto coperto da una maschera di polvere e gli occhi pieni di terrore.
Non parlavano, non gestivano. Si vide che alcuni erano feriti al collo, alle braccia, alle mani. Era tra loro anche l'ingegner Baseggio.
Di colpo, pochi minuti dopo, caddero a terra.
Li credettero morti. Ma andati per sollevarli, s'accorsero che vivevano ed erano soltanto svenuti.
Mentre li portavano via a braccia, altri dolorosi fantasmi uscivano dalla galleria.
In breve ne erano venuti alla luce una quindicina.

La folla verso la miniera.
Tutti i mezzi sono stati messi in opera per mobilitare e far giungere sul posto squadre di soccorso, tecnici, carabinieri. Ma già prima che questi soccorritori e queste autorità arrivassero, alcuni dei primi testimoni, con generoso sprezzo del pericolo, si calavano nel pozzo, pieno di fumo e di grida, nel tentativo di salvare i sepolti vivi. Nessuno, sul momento, era in grado di dire esattamente quanti ve ne fossero. Purtroppo, l'ardito amoroso gesto rimase senza frutto.
Nessuno più avanzava dal fondo della orribile gola.
Uno di questi audaci, il minatore Giovanni Tortoli, lo dovevamo trovare più tardi sul lettino dell'infermeria in preda a una intossicazione che gli permetteva appena di parlare.
Da lui, a frammenti, abbiamo ricevuto le informazioni che abbiamo qui sopra riferito.
Intanto la notizia aveva raggiunto Ribolla. L'intera popolazione era partita di corsa verso la miniera. Nessuno si era immaginato che la sciagura fosse così grande, e quando se ne accorsero un alto coro disperato di cento e cento voci d'ogni timbro (si distinguevano nitidamente quelle dei fanciulli) si levò dalla folla che cercava di forzare la consegna dei carabinieri e dei custodi che frattanto erano stati disposti a rinforzo dei cancelli.
L'arrivo dei soccorsi si andava intanto realizzando con un ritmo miracoloso. Autolettighe della Croce Rossa, automobili cariche di medicinali, pompieri, carabinieri, agenti di polizia, provenienti da Grosseto, da Massa Marittima, da Giuncarico e da cento altri paesi, convennero nel centro minerario con una prontezza e un ordine da far bene sperare in una efficace azione per ridurre le dimensioni della disgrazia. Sventuratamente, la situazione era tale da raggiungere questo scopo solo in piccola parte.
Le ostruzioni della galleria non erano facilmente attaccabili. Si trattava di migliaia di metri cubi di materiale che avevano letteralmente tamponato ogni accesso, né era possibile rendersi conto di quanto quel mostruoso ostacolo si prolungasse nelle viscere della terra.

L'opera di soccorso.
In prossimità della soglia del pozzo attendevano il loro turno le pattuglie dei vigili del fuoco del trentottesimo Corpo, tutti muniti di maschere antigas.
Numerosi volontari, venuti dalle miniere di Gavorrano e della Cesa, si erano messi anche loro a disposizione dell'ingegner Bianconi, dicendosi pronti a qualunque ardimento.
Le invocazioni e i pianti dei familiari e degli amici dei sepolti vivi erano visibilmente il drammatico incentivo a queste offerte. Squadre di tecnici e di scavatori erano sparite nel pozzo e anche per loro si diffondevano ansietà e timori.
Il personale direttiva dava di tanto in tanto qualche ragguaglio intorno al metodo che si stava seguendo sia per smassare le gallerie sia per immettere, attraverso le possibili canalizzazioni ancora efficienti, ossigeno nei punti dove era da presumere fossero raccolti i gruppi imprigionati.
Giungevano di lì a poco anche il prefetto di Grosseto, il procuratore della Repubblica, il questore, il comandante dei carabinieri, i sindaci di Grosseto, Roccastrada e Massa Marittima, il giudice istruttore, l'ingegner Carlino del distretto minerario, l'onorevole Mauro Tognoni.
A un tratto, urla agghiaccianti facevano intendere anche ai più lontani che qualcosa di nuovo e di tragico era avvenuto. Infatti, erano stati trasportati fuori dal pozzo i corpi, orribilmente straziati, delle prime vittime.
Impossibile, ma tanto facilmente immaginabile, descrivere le scene che avvolsero quei miseri corpi subito pietosamente sottratti con coperte alla vista dei familiari e della folla.
Immensa angoscia quella di chi, trovandosi nella immediata vicinanza del gruppo delle autorità, poté in quel medesimo momento sentire qualcuno che dava sottovoce la notizia dell'ormai problematica possibilità del salvataggio.
Si cominciava anche a fare qualche congettura sul numero dei minatori che avevano potuto trovarsi nelle gallerie colpite dall'esplosione. Si diceva che fossero discese cinque squadre di quindici – sedici uomini ciascuna, dunque una ottantina di uomini che avrebbero dovuto disimpegnare il primo turno, dalle sette alle quindici.
Nemmeno la quarta parte di essi era forse riuscita a salvarsi.

I nomi dei morti.
Le salme recuperate venivano trasportate quasi subito in un vecchio garage trasformato in obitorio. Avvenuto il riconoscimento, le salme vengono racchiuse nelle bare e trasportate dal garage alla camera ardente collettiva allestita nel teatrino del Circolo ricreativo.
Ora è il tocco, e solo due corpi sono stati composti ed affidati ai parenti: quelli di Nilo Turacchi e Giuseppe Stacchini. Cinquant'anni il primo, ventidue l'altro; era appena tornato dal servizio militare. Questi sono gli unici due ufficialmente identificati.
Altri dodici corpi attendono un nome, un nome ufficiale corredato da tutti i crismi della legge. Ufficiosi, cioè detti da altri compagni di lavoro, i nomi di alcuni di essi sono questi: Alfredo Conti, di 50 anni; Gino Ferioli, sorvegliante, di 43 anni; Rolando Tognozzi di 17 anni; Angelo Vannini, di 56 anni; Ferruccio Petri, di 58 anni; Giovanni Pallini di 43 anni; Silvio Monti di 33 anni; Aurelio Taviani di 40 anni; Alisio Civilini di 33 anni.
Il Petri, il Pallini, il Monti, il Taviani e il Civilini facevano parte della squadra antincendi.

Nel terriccio della frana sono stati trovati i portafogli dell'operaio Alfredo Conti e dell'armatore Romualdo Ciani.
Non si conoscono ancora i nomi degli operai rimasti sepolti. Secondo i primi calcoli, si tratterebbe di una trentina di persone fra le quali, quasi certamente, un giovane di sedici anni (il manovale Rolando Tognozzi) e un elettricista che solo saltuariamente lavorava nel sottosuolo: un certo Luschi.
Una comunicazione che ha alquanto attenuato il peso della grande disperazione è stata quella secondo cui un contatto sarebbe stato ristabilito tra un pozzo e l'altro e che, con tutti i mezzi, si sta tentando di immettere aria nei cantieri franati.
È già notte fonda.
Si lavora affannosamente al lume di speciali lanterne sotto la direzione degli ingegneri della Montecatini. Non ancora chiarito il terribile interrogativo: quanti erano esattamente gli operai sorpresi dallo scoppio del grisou?

Intorno alle cause si è levata da qualche parte la voce che ad esse possano non essere estranei certi particolari aspetti della condizione in cui i minatori si trovano certe volte a lavorare nel sottosuolo.
Di ciò sembra che si voglia far parola al Ministro Vigorelli cui verrebbe domandata udienza proprio per questo.
Dal canto suo, la camera sindacale provinciale della U.I.L ha pubblicamente auspicato che sia aperta un'inchiesta per appurare le eventuali responsabilità e, ove queste esistessero, si proceda contro i responsabili.
Ha anche indirizzato alle famiglie delle vittime l'espressione del più vivo cordoglio.
Il ministro del lavoro, Vigorelli, giunto in serata, si è recato in compagnia del prefetto, del questore di Grosseto e del vescovo di Massa Marittima, a visitare i feriti fra i quali è, come è detto più sopra, l'ingegnere Roberto Baseggio.
Il suo stato non desta troppe preoccupazioni.

ENZO GUERRI.

- Per gentile concessione di Roberto Calabṛ.-

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