LA NAZIONE
Mercoledì 5 maggio 1954.

2a pagina.


LA TERRA HA TREMATO

Gli uomini della squadra anti-incendi sono tutti morti.
I più tragici episodi dell'orribile sciagura.

Ribolla, 4 maggio.
Stamani alle otto e quaranta è scoppiato il grisù, il grande nemico dei minatori.
Un'esplosione spaventosa, ancora incalcolabili le conseguenze, impossibile aggiornare con esattezza il numero delle vittime.
Fino a questo momento quattordici sono i morti, alcuni identificati, altri no perché lo scoppio e le fiamme li hanno orribilmente sfigurati.
All'ospedale di Massa Marittima sono stati ricoverati una quindicina di feriti. Ancora una ventina di uomini dovrebbero trovarsi nelle bare di lignite che li contendono alle squadre di soccorso.
Frane continue sbarrano la strada ai soccorritori.
È la più grande sciagura della storia mineraria di Ribolla.
Il punto dove è successa è a un paio di chilometri fuori dal paese. La miniera si chiama “Camorra”, è profonda trecentosettanta metri. La galleria è lunga un chilometro e l'ingresso dall'altro capo si chiama “Raffo”.
Stamani alle sette un turno di settanta operai era sceso nelle viscere della terra, avanti a tutti una squadra anti- incendi. C'era il fuoco, infatti, nel ventre di “Camorra”.
Quattro o cinque mesi fa un braccio della miniera era stato chiuso a causa delle fiamme. Ci avevano messo un “tappo”, come si dice in gergo minerario, cioè una specie di muro di argilla il quale aveva il compito di impedire all'aria di filtrare e di conseguenza doveva “strozzare” il fuoco.
Cinque giorni fa questo “tappo” era stato tolto ed il lavoro di sfruttamento del “banco” ripreso.
Ma la tranquillità era durata due giorni soli, perché nel terzo le fiamme s'erano riaccese.
Niente di drammatico, roba che in miniera è di ordinaria amministrazione, ci dicono. La squadra anti – incendio aveva appunto il compito di riformare la chiusura.
Purtroppo deve essere successo che le fiamme hanno raggiunto un deposito di grisù. È stata la catastrofe.
Questa è una ricostruzione sommaria, naturalmente, perché come le cose siano andate precisamente non lo può ancora sapere nessuno e chissà se sarà possibile nemmeno dopo.
Quello che convalida questa spiegazione è il fatto che gli uomini della squadra anti – incendi sono morti tutti, e tutti orribilmente straziati. L'esplosione deve quindi essersi verificata proprio nel punto in cui si trovavano loro.
Erano le 8,40, la terra ha tremato.
Tanto forte è stata l'esplosione che un ingegnere che si trovava attorno agli impianti esterni, cioè alla superficie, travolto dallo spostamento, è caduto a terra e si è procurato un avvallamento della cassa cranica. È l'ingegnere Baseggio, capo dei servizi del cantiere.
I sorveglianti si sono precipitati al telefono che collega la superficie alla galleria. Nessuno rispondeva. Minuti di indicibile ansia, tutti col cuore in gola ad aspettare notizie.
Poi, laggiù a 370 metri di profondità qualcuno ha staccato il cornetto e ha risposto in frasi smozzicate.
Era Viardo Venturi, un giovanotto biondo di 24 anni, macchinista, uno dei pochissimi scampati, il più fortunato di tutti.
Ancora dieci minuti di drammatica attesa, poi l'ascensore cigolante ha restituito alla luce Venturi. Tutti gli sono stati subito intorno, tecnici e operai. Lui non ha saputo dire nulla di quello che era successo laggiù. Solo lo scoppio e il polverone di allarme.
Il telefono portò la notizia della tragedia a Massa Marittima, a Grosseto, a Siena, a Roma. Dappertutto partirono mezzi di soccorso, vigili del fuoco, ambulanze tecnici. Ribolla fornisce subito, generosa, la mano d'opera. Quasi tutti i minatori in paese, o parenti dei minatori.
Ognuno, quindi, subito prontissimo in prima linea a portarsi laggiù, sorretto dalla speranza che ci fosse ancora qualcosa da fare per qualcuno.
È un accorrere di gente dal paese al Camorra, una dolente processione si snoda per quei due chilometri di carrareccia melmosa.
Intanto arrivano carabinieri e truppe. È necessario formare un argine anche contro la marea della pietà. A Camorra c'è da lavorare adesso, non c'è tempo per le lacrime. Si può fare ancora in tempo a strappare qualcuno alla morte.
Circa tre ore ci vogliono, dall'imboccatura del pozzo, per raggiungere i primi feriti e, purtroppo, i primi cadaveri.
Ambulanze in gran numero, disposte a raggiera, attendono col motore acceso accanto al verricello, lettucci con le lenzuola bianche attendono il triste carico.
Poco dopo le undici, dunque, i primi feriti gravissimi tornano alla superficie e l'urlo delle sirene delle ambulanze squarcia il grande doloroso silenzio di queste parti, si sovrappone per un attimo al ronzio cupo, quasi funebre, del motore del verricello, un ronzio ossessionante, come ossessionante è l'aria qui intorno, piena di gas.
Prima di mezzogiorno sei feriti vengono trasportati all'ospedale di Massa Marittima. Sono Angelo Crecchelli di Termignano (Pisa), Osvaldo Bucciarelli di Perugia, Lilo Vanni di Roccastrada e l'ingegner Roberto Baseggio e altri due in gravissime condizioni.
Alle squadre che lavorano con la febbre, l'aver portato a galla qualcuno ancora in vita alimenta la speranza. Purtroppo a questi primi non si aggiungeranno altri feriti.
Passano le ore; subito dopo mezzogiorno il verricello porta su otto corpi morti. La squadra di soccorso li ha trovati tutti assieme.
I primi tre erano stati trovati poco avanti alla spicciolata.
Alle ore 16 viene disseppellito un altro cadavere e ancora due poco prima delle 20.
ora è quasi il tocco, da molte ore il verricello viaggia vuoto.
Scendono nel ventre di Camorra una squadra dopo l'altra.
Una grande frana, forse l'ultima, dietro la quale dovrebbero trovarsi quelli che mancano all'appello. Nessuno lo vuol dire, la speranza è sempre l'ultima ad andarsene, ma si diffonde sempre più la desolata sensazione che dietro quell'enorme cumulo di lignite non ci sia che un cimitero.
I cadaveri intanto, via via che venivano riportati a galla erano trasportati a Ribolla paese e sistemati in un garage della Montecatini. Lì il giudice istruttore aveva il doloroso compito di frugarne gli abiti per cercare un nome, un riferimento, una indicazione.
E se non trovava quelli, di portare in tragica ricognizione una dietro l'altra le persone che domandavano notizie di qualche loro caro sceso in miniera stamani verso le 7, che però non sanno rinunciare alla speranza e attendono in silenzio, ammassate davanti alla saracinesca chiusa del garage proibita da un cordone di carabinieri.
Una adunata del dolore.
Nessuno riesce a parlare, solo a piangere tutti riescono.
E le donne a coprirsi gli occhi per non vedere, per non sapere ogni volta che approda lì una ambulanza.
Difficilissimo riconoscere i morti.
Parecchi sono straziati, altri venivano a lavorare a Ribolla da paesi lontani e qualche famiglia magari ancora non sa.

PAOLO BUGIALLI

- Per gentile concessione di Roberto Calabṛ.-

indietro