LUMINI NEL BUIO -Ribolla: anni '30 e dintorni-

 
 

BRUNO BALDANZI, BARBIERE  

 

 

 


Bruno
Baldanzi

La bottega di Brunino era una casupola di sassi che aveva come panorama il campo sportivo e il pozzo Costantino. Tutti gli adolescenti di Ribolla esposero, fiduciosi, guance e gola al suo rasoio, per la cerimonia d’iniziazione alla giovinezza mediante il primo taglio della “molle lanugine del delicato volto”. Inutile chiedergli, in quell’occasione, di farci il contropelo. “Per questi hacchioni he ti ritrovi una passata basta e avanza”, ci diceva, guardandoci con aria d’affettuoso disprezzo.

Ai capelli, invece, si dedicava con impegno diligente e creativo. Le sue sfumature basse, impresse alle nostre chiome allora folte e cariche di brillantina, ci davano gli slanci necessari per vincere le strenue resistenze di ragazzine che, in ogni modo, ci avrebbero concesso, al massimo, non più di un bacio furtivo durante un giro del palazzo.

Brunino sapeva che il nostro successo dipendeva anche da lui, e si dava da fare intorno alla testa di ciascuno di noi con la massima concentrazione che gli consentiva l’unico occhio di cui poteva disporre. L’altro, infatti, pur essendo sanissimo, rimaneva costantemente chiuso per evitare il fumo dell’eterna sigaretta che gli pendeva dalle labbra. Di tanto in tanto trinciava l’aria con le forbici come per scaricare eccessi di virtuosismo.

Da lui si parlava di tutto, purché non si trattasse di quanto faceva oggetto di quel manifesto, voluto dal “regime” in tempi ormai vicini alla guerra, che, appeso alle pareti di tutti i locali pubblici, ricordava severamente agli italiani: “Qui non si parla di politica né d’alta strategia. Si lavora!” La perentorietà dell’invito lasciava per un attimo sconcertato chiunque entrasse nella bottega. Subito dopo, però, ci si accorgeva che gli argomenti sviscerati erano perlopiù sportivi. Le epiche discussioni sulle vittorie di Alfredo Binda e di Learco Guerra (Costante Girardengo, il più grande di tutti, stava già passando di moda), lasciarono col tempo il posto a quelle su Gino Bartali e Fausto Coppi. La Juventus (proprio nel suo periodo d’oro dei cinque scudetti consecutivi) aveva la supremazia del tifo rispetto all’Ambrosiana, che, nata come Internazionale di Milano (l’Inter di adesso), fu bruscamente privata del suo nome originario dall’autorità fascista perché evocava in maniera troppo palese l’inno dei comunisti.

Spesso capitava in bottega il padre di Bruno, Martino Baldanzi, un’altra figura caratteristica della vecchia Ribolla. Per contrastare il sopravvento del bastone, cui era ormai costretto ad affidare il suo lento incedere, esibiva con palese orgoglio, e non solo nelle ricorrenze nazionali, il cappello piumato del corpo dei bersaglieri del quale aveva fatto parte in una ormai lontana gioventù. Si diceva che avesse partecipato addirittura alla presa di Porta Pia. C’era da crederci, malgrado fosse nato qualche anno dopo.

Entrando nel cubetto di sassi, bottega del figlio, Martino alzava al cielo il bastone proclamando, a tutti i presenti, il suo caratteristico, discriminatorio saluto: “Bongiorno a tuttolmondo, tranne la Russia e l’Inghilterra!”

 

 Vilmo Radi

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