LUMINI NEL BUIO -Ribolla: anni '30 e dintorni-

 
 

IL SERVIZIO POSTALE A RIBOLLA, “FRAZIONE DI MONTEMASSI”

 

              A quei tempi la figura del postino, inteso come colui che recapita la posta a domicilio, era del tutto sconosciuta, a Ribolla. Marziale Marrocchi ne faceva solo in parte le veci, limitandosi ad andare tutti i santi giorni in bicicletta alla stazione ferroviaria di Giuncarico dove ritirava il sacco della posta, lo caricava su un piccolo portabagagli dietro la sella, e lo portava all’ufficio postale, che allora era di fianco alle Centurie, dalla parte del Parco della Rimembranza.
             
A causa di un grave infortunio Marziale era privo di un braccio, e faceva una certa impressione vederlo arrancare per la strada
appoggiando al manubrio, oltre all’unica mano che gli era rimasta, la parte finale di una rudimentale protesi di legno ancorata alla spalla e terminante in un aggeggio ricoperto da uno scuro guanto di pelle chiuso a pugno, che voleva dare ad intendere d’essere anch’esso una mano.
              
Il percorso non presentava molte difficoltà, anche se a quei tempi la strada per Giuncarico, come del resto tutte le altre, era ancora fatta di soli sassi e buche.  Il punto più critico era costituito da quella salitella che, nel tratto di ritorno, cominciava subito dopo il ponte della Bruna, all’alborellaia della Bartolina, e passando sotto la “casetta del romito” (il vecchio barbuto che, come ci raccontavano gli anziani d’allora, dissetò la Pia de’Tolomei in cammino per Pietra dandole dell’acqua in un bicchiere di cuoio), dopo aver superato il podere della Muccaia si affacciava, giunta al culmine del monticello, su Ribolla non più lontana. A quel punto diventava uno scherzo calare sul Reparto e raggiungere, con poche pedalate, il paese.
             
Arrivato a destinazione Marziale consegnava il sacco a Cecco Fabiani, l’Ufficiale di Posta, il quale, con l’aiuto di un paio d’impiegati, lo svuotava ordinando poi la corrispondenza in uno scaffale suddiviso in tante caselle, ognuna delle quali era contraddistinta da una lettera dell’alfabeto.
Ad una cert’ora della mattina si formava, davanti alla porta dell’ufficio, una fila di persone che aspettavano il loro turno per ritirare eventuali lettere o cartoline. In genere al Fabiani bastava guardare in faccia chi era allo sportello per cominciare la ricerca della posta, senza bisogno che fosse pronunciata parola. Capitò anche a me di sentirmi dire “Oggi un c’è niente per te, Radicchio!”, subito dopo che la mia testa aveva fatto a fatica capolino allo sportello, e prima ancora che avessi avuto il tempo di aprire bocca per dire ad alta voce “Radi e Regoli!!”

             
Sulle buste e sulle cartoline in arrivo gli indirizzi differivano soltanto per il nome del destinatario. La destinazione era uguale per tutti: Sig. Tal dei Tali – Ribolla (GR). A quei tempi il paese non aveva una toponomastica urbana, e perciò non esistevano vie, né piazze, né numeri civici sulle porte delle abitazioni. La segnaletica stradale era costituita da ben tre cartelli posti dalle parti del Raspollino, oltre il Reparto e prima della Collacchia. Su ognuno di essi spiccava in grosse lettere la scritta “RIBOLLA”, e, tra parentesi e in caratteri più piccoli (ma pur sempre ben leggibili anche nella loro subdola intenzione di prenderci per i fondelli e in tal modo offuscare il nostro prestigio), ”Frazione di Montemassi”.
              
Il fatto di essere considerati una semplice appendice di quel paesino, che oltretutto, anche se fra i più belli, era uno dei più piccoli del Comune, a noi ragazzi non andava proprio giù. Lo spirito campanilistico ci faceva nutrire un certo risentimento nei confronti dei nostri vicini, malgrado fosse piuttosto difficile addossare a loro la colpa del fatto che a Roccastrada, o chissà dove, qualcuno aveva deciso di annettere a Montemassi quella zona di terra ad un tempo fredda, calda, inospitale, e in passato anche malarica.
               Bisognò diventare un po’ più grandi per veder svanire il risentimento che quell’offesa ci aveva provocato. Ma se il trascorrere del tempo diluì del tutto le acidità, un piccolo tarlo continuò a roderci il fegato perpetuando l’antico dubbio. Non potrebbe essere stato un montemassino, chissà in quale sede, chissà di quale potere dotato, a proporre, ghignando, quel provvedimento? Egli certamente intravedeva in esso la possibilità di rifarsi delle angherie subite dai suoi antenati, e da quelli dei suoi compaesani, durante l’assedio cui furono sottoposti, nel 1328, da Guidoriccio da Fogliano, il quale, come si vede nel famoso dipinto attribuito a Simone Martini, si era accampato con le sue soldataglie giustappunto nella piana dove molto più tardi, da banchi di lignite scoperti – si dice - dal grugno di un maiale, e da crepe fumiganti nel terreno, sarebbe spuntata “la miniera”
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               I benpensanti dicevano che la nostra era solo maldicenza, e che molti studiosi affermavano, pur tra molti dubbi, che il capo delle truppe assedianti non si trovava nella piana di Ribolla”. Noi sapevamo che a pensar male si fa peccato. Però sapevamo pure, com’ebbe a sentenziare quell’antico, antichissimo filosofo cinese tuttora vivente, che spesso ci s’azzecca.
               E per quanto riguarda la posizione di Guidoriccio, gli esperti dicano pure quello che vogliono e continuino a litigare (si fa per dire) tra loro. A noi è sempre piaciuto pensare che, non essendoci dubbio che il paese davanti a lui è Montemassi, e quello alla sua destra non può essere che la Rocca, il suo cavallo pestava la terra all’incirca tra le Camerate e le Casenove.

 O no?                


Vilmo Radi

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