LUMINI NEL BUIO -Ribolla: anni '30 e dintorni-

 
 

PRESILDO E GELTRUDE

 


A Ribolla, almeno fino agli anni '40, si usava, con una certa frequenza, chiamare la moglie volgendo al femminile il cognome del marito, cosicché mia nonna, come moglie del Regoli, era "la Regola", la moglie del Tognoni "la Tognona", e così via.
Non so di preciso come abbia avuto origine quest'abitudine, ma ritengo abbastanza fondata l'ipotesi che essa sia sorta nel periodo in cui, durante e subito dopo la prima guerra mondiale, numerosi prigionieri di origine slava vissero per un certo tempo a Ribolla, lavorando nella miniera, ed ebbero certamente modo di trasmettere qualcosa delle loro usanze, e del loro idioma, alle persone del luogo. E' noto infatti che nei paesi di etnia slava c'è sempre stata questa strana ma in fondo simpatica regola di linguaggio. E allora perchè non attribuire a loro il merito di aver contagiato i ribollini con questo esotico modo di parlare ?
A causa di questa consuetudine, Geltrude, moglie del minatore Presildo, diventò "la Presilda". Per lei, chissà perché, fu volto al femminile il nome del marito, e non il suo cognome. La poveretta era soggetta a frequenti crisi d'epilessia, che si manifestavano all'improvviso in qualsiasi posto si trovasse, e a causa delle quali cadeva a terra in preda alle convulsioni. In paese questo fatto era universalmente noto; molti addirittura intuivano, già dall'incoerenza del suo passo, la probabile imminenza di un attacco. Al primo traballamento chi era presente dava l'allarme: "Gente, la Presilda!". E mentre qualcuno si metteva a prenderla a schiaffi, o le sbottonava il colletto del vestito, donne uscivano da casa con bicchieri d'acqua o altri ingredienti ritenuti idonei a prestarle un primo, sommario soccorso. A volte il "mal cadùco" la prendeva alla "fonte", presenti un sacco di donne in attesa di riempire i loro secchi d'acqua. In questi casi uno dei primi ad accorrere era Giulio Sansoni, l'indimenticabile infermiere di tutti i ribollini, che si precipitava dal suo ambulatorio prestando, più autoritario che autorevole, soccorsi professionalmente adeguati. Il tutto durava non più di qualche minuto, poi la povera Presilda si rialzava e, alquanto rintronata, proseguiva per la sua strada, oppure, se il fatto si era verificato alla fonte, si rimetteva in attesa del suo turno seduta su una sedia che premurosamente le era stata offerta dal macellaio o da qualcuno che abitava nel cortile della lampisteria.
L'età di Geltrude era del tutto indefinibile, ma penso che non potesse avere molto più di trent' anni. Ne ricordo l'alta statura, assai superiore alla media, gli occhi chiari, i capelli tra il biondo e il rossiccio. Nel suo portamento, pur condizionato da una certa sciatteria nel vestire dovuta più a necessità che ad abitudine, c'era un qualcosa di matronale, e sul suo volto, in particolare, si potevano ancora intravedere, nonostante lo scempio perpetrato dal male, tracce di una lontana, esotica bellezza, che rendeva probabile, visto anche il suo nome, una provenienza da paesi lontani, forestieri, forse tedesca, o slava. 
Presildo lavorava in miniera e avrà avuto sì e no quarant'anni. Di lui si diceva che fosse addirittura un nobile decaduto, o perlomeno che i suoi natali non fossero del tutto oscuri. Accanito bevitore, era raro non vederlo sbronzo. Francesco Redi, quando nel '600 compose il "Bacco in Toscana", avrà sicuramente pensato ad uno come lui scrivendo

" ... né m'importa se tal calice
sia d'avorio o sia di salice,
o sia d'oro arciricchissimo;
purché sia molto grandissimo"


Presildo, infatti, aveva per il suo calice un interessamento sollecito e costante, ma più che alle dimensioni teneva molto al suo grado di pulizia. Nel senso che nella bottega di Tono Sabatini, di cui era assiduo cliente, lui aveva un bicchiere da vino personale, che per sua precisa e perentoria disposizione non doveva mai essere lavato.
Ogni tanto, trovandoci a passare da quelle parti, magari per comprare di straforo un paio di puzzolenti "nazionali", noi ragazzi chiedevamo a Sergio Sabatini detto "Pelo" di farcelo vedere, quel bicchiere di Presildo, per poterne apprezzare, insieme al colore, che diventava col tempo sempre più scuro, lo spessore dell'incrostazione.
Presildo e la "Presilda". Marito e moglie. Sembra che tra di loro corresse un ottimo rapporto, basato su di un affettuoso e reciproco rispetto. Si diceva che una volta Geltrude fosse andata da Baldina pettinatrice per farsi tagliare un ciuffo di capelli da donare al marito. Ogni tanto succedeva anche di vederli insieme, affiancati, camminare per la strada diretti chissà dove. Lei che lo sovrastava di una spanna, entrambi a passo lento e un po' strascicato, quasi si portassero dietro il peso di quella loro povera esistenza ricca di rinunce, ed anche (specialmente se le origini di Presildo fossero veramente state, com'è del resto possibile, quelle di cui si diceva), di promesse non mantenute.

Presildo e sua moglie Geltrude. 
Nel museo d'ombre di Ribolla, solo due tra le tante. 


Vilmo Radi

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