LA  FIACCOLA  PER  LA  PACE

 


 

 

-  Ricordo di aver partecipato ad una fiaccolata notturna, a cavalcioni sulle spalle di mio padre, con una torcia accesa in mano.-

  

-  Era una manifestazione per la pace, una delle tante che venivano organizzate nei primi anni cinquanta, contro la guerra in Corea e contro il generale Ike Eisenhower, che era venuto a Roma per ottenere la compiacenza del nostro Governo. Gli USA stavano preparando la bomba H (all’idrogeno) che, si diceva, volessero usare per vincere la guerra contro i coreani.

   Noi militanti della sinistra giovanile, scrivevamo sui muri della case: “ Ike go home ’’ ( Ike torna a casa ), “ Abbasso la guerra! ’’ “ Viva la pace fra i popoli! ’’ Queste erano le parole d’ordine che scandivano i manifestanti, fra questi molti giovani e famiglie al completo che si tenevano per mano, come quando si partecipa alle sagre paesane.

 

  Nostro padre ti portava sulle spalle per farti vedere la fiaccolata che, non era proprio una manifestazione politica, perché aveva tutte le caratteristiche di una festa. I cittadini vi partecipavano con la gioia spontanea che contraddistingueva, anche allora, le manifestazioni dei pacifisti.     

   La folla seguiva una grande bandiera, realizzata dalle ragazze, che avevano cucito insieme tanti scampoli di stoffa variopinta, delle dimensioni di un fazzoletto, sui quali avevano ricamato il loro nome, spesso con l’aiuto delle madri e delle nonne che approfittavano dell’occasione per insegnare loro l’arte del ricamo. Alcune ragazze decoravano il fazzoletto di stoffa con nomi di fantasia, per non farsi riconoscere dai loro genitori che erano contrari a che la figlia partecipasse attivamente a manifestazioni, anche se erano apolitiche, come quelle per la pace.

 

   Quel drappo, che riprendeva i colori di arlecchino, era la bandiera della pace di quei tempi.

 

   La fiaccolata per la pace, che aveva assunto dimensioni  provinciali,  era  vietata  dalle  autorità.

   I Carabinieri avevano ricevuto l’ordine di impedire queste manifestazioni perché, secondo la loro interpretazione, erano “ pericolose ’’ essendo promosse dai ” sovversivi ’’. Invece erano soltanto manifestazioni pacifiche e molti paesi si organizzavano per ricevere la staffetta, che al suo arrivo si concludeva con una fiaccolata nella piazza principale e poi, il giorno successivo, si attivavano per portarla in un’altra località vicina, senza farla mai spegnere, nemmeno di notte, in quanto veniva custodita, nascosta, in qualche casolare isolato, perché le sezioni del Pci, del Psi, della Fgci e della Camere del Lavoro venivano sistematicamente perquisite dai Carabinieri in cerca della fiaccola accesa e vi trovavano solo il buio.

  

   Può sembrare assurdo che allora, come d'altronde oggi, ci fossero persone che non volevano la pace!

   Senza i mezzi d’informazione di oggi, all’epoca ognuno si era formato convinzioni personali, mettendo insieme i fatti che conosceva, che erano questi: La Montecatini voleva la guerra perché il carbone della miniera aumentava enormemente di prezzo in occasione dei conflitti, meglio se mondiali, come la prima e la seconda guerra mondiale che fecero la fortuna della società Mineraria. A Ribolla una parte della popolazione, se pure in minoranza, pensava come desiderava la Montecatini. Nelle campagne predominavano due grandi fattorie, che davano lavoro a molti contadini; quella di Montelattaia i cui proprietari erano i Falk dell’omonima acciaieria, la più grande d’Italia e sappiamo che l’acciaio è la preziosa  materia  prima per costruire le armi e gli strumenti di guerra.

 

 

L’altra, la fattoria della Castellaccia, era stata acquistata da un diplomatico, che noi chiamavamo “Viceré d’Albania’’, con i soldi guadagnati chissà come durante la guerra in quel paese. Per questo le persone che dovevano, in qualche modo, rendere conto a queste tre realtà, per motivi di lavoro o per interessi commerciali, erano portate a considerare la guerra come un’opportunità, dalla quale anche loro ne traevano vantaggi e non partecipavano certamente alle manifestazioni per la pace.

   Ma la maggioranza della popolazione seguiva il proprio istinto ed era contro la guerra.   

 

   Oggi, diversamente di allora, sono i forti condizionamenti politici, che determinano gli schieramenti in favore o contro la guerra.

 

   Nei primi anni cinquanta erano tempi difficili per chi abitava a Ribolla; nel villaggio minerario imperava la società Montecatini che disponeva a suo piacimento di tutti e di tutto,  perché dava lavoro ai minatori e la casa per le loro famiglie. Poteva, e la società Montecatini  lo faceva spesso, licenziare a suo piacimento soprattutto chi organizzava o partecipava a troppi scioperi sindacali. Dopo il licenziamento seguiva lo sfratto: così chi non si piegava al volere del padrone della miniera, perdeva tutto. Nostro padre, qualche anno dopo, venne licenziato per questi motivi e poi perse anche la vita nella miniera di zolfo Trabonella in Sicilia.

   Mamma, tu ed io fummo sfrattati e costretti a riconsegnare la casa, nel rione Casenuove, dove avevamo abitato per tanto tempo.

   Furono anni difficili, specialmente per te che eri piccola. La scuola ti aiutò molto, tenendoti impegnata e noi, finalmente, riuscimmo ad avere qualche soddisfazione perché eri molto brava. Mamma, provvisoriamente, trovò una stanza in affitto e poi, con l’aiuto compiacente di alcuni muratori e indebitandosi per qualche anno, costruì due stanze su un pezzetto di terra, che babbo aveva acquistato qualche anno prima, lungo la strada della  Collacchia.

   La tragedia che colpì la nostra famiglia, non era un’eccezione; altre vivevano lo stesso dramma. Poi tutto ebbe un tragico epilogo con la sciagura del 4 maggio 1954.

   Gli abitanti di Ribolla erano temprati dalle tante difficoltà che avevano dovuto superare per convivere con la miniera e con la Montecatini, per questo partecipavano attivamente alle manifestazioni politiche perché così intendevano riscattare la propria dignità.

 

   La staffetta per la pace, che si concludeva con la fiaccolata, era organizzata dalla Federazione giovanile comunista di Grosseto che aveva circoli attivi in quasi tutti i paesi della Provincia. Veniva accesa in una località prestabilita, conosciuta da tutti, ma non dalla polizia che arrivava sempre in ritardo, quando ormai la fiaccola era già partita. La fiaccola si  metteva in cammino appena  rabbuiava, portata a turno da un drappello di giovani e doveva raggiungere la piazza di un altro paese dove la gente l’aspettava, organizzando una festa pacifista.

 

   I carabinieri di alcune caserme facevano finta di non vedere e lasciavano scorrere la fiaccola, per le vie del paese, senza intervenire con divieti o proibizioni, altri invece, come a Ribolla, dove il clima politico era sempre surriscaldato, prendevano alla lettera le disposizioni che la vietavano e si dannavano l’anima perché non erano stati mai in grado di  interrompere il percorso della fiaccola. Il Maresciallo, quell’anno, ne aveva fatto una questione d’onore  (del suo onore! ) ed aveva chiesto l’aiuto della Celere. Per questo era arrivato un Commissario dalla Questura di Grosseto.

 

  Quella volta, ricordo bene, la fiaccola doveva arrivare da Montemassi. I giovani di questo paese sapevano che, se incappavano nei carabinieri, la fiaccola veniva spenta ed interrotto il percorso che doveva invece arrivare in altre decine di paesi prima di concludersi, e forse sarebbero stati anche denunciati, perché la manifestazione non era autorizzata.

 

 

 

   Questi giovani, con il più semplice degli stratagemmi, spargendo la voce in presenza di noti confidenti, fecero in modo che il Commissario che aveva preso il comando delle operazioni, credesse di aver scoperto l’itinerario che la staffetta avrebbe percorso per arrivare a Ribolla proveniente da Montemassi.  

   Schierò i carabinieri sul ponte del fosso Raspollino, riparati dal parapetto per non farsi vedere potevano controllare la strada proveniente da Montemassi e contemporaneamente sorvegliare il fosso sottostante perché era da lì, secondo le loro informazioni, che la staffetta sarebbe arrivata. Anche un gruppetto di giovani di Ribolla si avvicinò, tenendosi a distanza dal ponte, per far credere ai militi che aspettavano, anche loro, la fiaccola.

 

   Merita precisare che a quei tempi non c’erano i telefoni e quanto meno i telefonini, quindi,  il modo di comunicare era difficoltoso: occorreva scegliere il percorso con alcuni giorni di anticipo ed organizzare tutto alla perfezione, se poi sopraggiungevano difficoltà, veniva in loro soccorso la fantasia che non faceva certo difetto a quei giovani. Noi di Ribolla sapevamo solo che non sarebbero arrivati dal fosso Raspollino, dove invece i poliziotti creduloni l’aspettavano.

 

   Era una notte buia, senza luna e fu uno spettacolo vedere non una, ma una decina di fiaccole luminose scendere dalla collina del deposito dell’acqua, a lato della Chiesa. I giovani di Montemassi avevano preso una radura dentro il bosco che da Poggio Moretto, portava al podere Diaccialone e da qui, di corsa, vennero giù per campi. Arrivarono in paese, nella piazza davanti al dopolavoro, già gremita di gente, qualche minuto prima dei carabinieri che si erano accorti, con ritardo, di essere stati buggerati. D’incanto alle fiaccole di Montemassi se  ne accesero  altre  decine, una dietro l’altra, che i giovani di Ribolla avevano preparato in anticipo  costruendole  artigianalmente,  infilando  su  una  canna,   un barattolo di latta vuoto

( i migliori erano quelli da conserva o del Sidol ) con dentro un batuffolo di cotone imbevuto di petrolio.

 

   Credo che tu abbia assistito a questo spettacolo dall’alto, sulle spalle di babbo.

 

   Il Maresciallo ed il Commissario dovettero arrendersi di fronte a tanta efficienza organizzativa, ( e poi cosa avrebbe potuto fare: spegnere tutte le fiaccole? Sciogliere la manifestazione? Denunziare centinaia di persone? ).

   Sopra un palco improvvisato, un dirigente dei giovani comunisti pronunciava parole di pace, strappando applausi alla folla che ascoltava.

   I giovani comunisti di Ribolla, per non smentirsi, perché ci tenevano a manifestare la loro efficienza, in competizione con la bravura dimostrata dai montemassini, avevano preparato un finale con sorpresa. Invitarono la folla a guardare in alto: sul cornicione del tetto del Dopolavoro sventolava la bandiera della pace delle ragazze di Ribolla.

 

   I carabinieri tentarono invano di recuperarla per poterla sequestrare e segnare un punto a loro favore, ma era troppo in alto, ed al buio, non ne furono capaci. Stette lì per quasi una settimana perché, anche di giorno, era “ impossibile “ salire fin lassù. Ci vollero i vigili del fuoco per andarla a prendere, con la loro scala estensibile montata su un furgone. Venne portata a terra, ma un vigile del fuoco, anziché consegnarla ai carabinieri che volevano requisirla, l’appoggiò “distrattamente “ sulla sponda dell’auto-scala  e fu, per noi,  un gioco da ragazzi  farla sparire.

  Immagino che esista ancora, custodita in qualche stanza della sezione Pci, ora Ds.

 

  Come avevamo potuto issarla così in alto e per di più al buio?

 

 

 

 

  Un ragazzo, del nostro gruppo, possedeva le chiavi della sala del Dopolavoro e conosceva una botola che, dal piccolo palcoscenico, permetteva di salire nella soffitta, che non era praticabile, ma camminando con molta circospezione sui tavoloni, tipo quelli delle impalcature dei muratori, posti tra un tirante di ferro e l’altro che sostenevano il tetto si poteva percorre tutto lo spazio che, da sopra il palcoscenico, arrivava dalla parte opposta della sala.  Da un abbaino si poteva salire sul tetto e quindi raggiungere il frontone che dava sulla piazza. Noi giovani conoscevamo tutti gli anfratti del teatro-dopolavoro che era stato, da sempre, oggetto dei nostri giochi da ragazzi.

 

   La fiaccola, la sera dopo prese la strada per Montepescali, altra tappa di avvicinamento a Grosseto, dove avrebbe concluso il suo percorso. In quel paese trovammo la solita entusiastica accoglienza, questa volta, con cena e festa da ballo. Mentre noi ci divertivamo la fiaccola accesa aspettò, tutta la notte, infilata nel portabandiera della scuola, all’aperto, perché a Montepescali  non c’era la caserma. dei Carabinieri e quindi non correva pericoli.

 

 

   Dicembre  2003

                                                                                                Erino Pippi

 

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