LA NAZIONE ITALIANA
Giovedì 6 maggio 1954.



NOSTRA INCHIESTA SULLE RESPONSABILITA'
Ciò che dicono gli accusatori – I sistemi di lavoro nella miniera e i pre-allarmi -
Ignote le cause della sciagura -

Ribolla, 5 maggio.
Responsabilità: è una parola terribile, che schiaccia.
Attorno al pozzo “Camorra” dal quale escono di continuo cadaveri mutilati di uomini che vi entrarono ieri mattina pieni di vita, attorno alla camera ardente dove sono già allineate tante bare sormontate dall'elmetto e dalla lampada, simboli del minatore, questa parola echeggia senza posa: responsabilità.
C'è gente che non conosce mezzi termini, che punta l'indice e accusa. Si rimane perplessi poiché la commissione d'inchiesta si sta ancora formando, poiché l'ufficio tecnico delle miniere non può ancora certo formulare il minimo parere, mentre le parole in libertà suonano tanto crude da risultare sconcertanti.
Ma tuttavia suonano, vibrano, hanno un che di vivo nell'atmosfera tetra, non si può fare a meno di ascoltarle, sia pure con largo beneficio di inventario.
Dice, la gente, quasi echeggiando un manifesto che è stato affisso in paese e che e che ha un inconfondibile tono propagandistico, dice che la responsabilità del disastro ricade sui dirigenti e sui tecnici della Montecatini.

Le frane di fuoco.
L'affermazione riveste una gravità eccezionale. Quali sono i fatti, i ragionamenti sui quali si basa? Ecco: gli accusatori non si peritano a riferire che la Montecatini avrebbe trascurato molto, negli ultimi tempi, le attrezzature della miniera di Ribolla, divisando di chiuderla un giorno o l'altro poiché decisamente passiva.
Non potendo chiuderla, evidentemente, per molteplici ragioni anche di carattere sociale, la società avrebbe trascurato gli impianti, non avrebbe apportato innovazioni, così che sarebbero sopravvenute, per quel voler lesinare le spese di gestione, condizioni di insicurezza per i lavoratori.
Tutto ciò, per di più, sapendo benissimo che una disgrazia sarebbe dovuta fatalmente accadere.
È un principio, questo, che non può davvero essere accettato come degno di fede senza chiare e fondate documentazioni. Ciò è intuitivo.
Ma proseguiamo nella scia della voce pubblica.
Un minatore, Otello Tacconi, fu licenziato nel mese di febbraio perché avrebbe denunciato ai dirigenti le pecche della miniera allo stato attuale e i pericoli che derivavano dal sistema di coltivazione introdotto dal nuovo direttore, ingegner Leonello Padroni.
Tale sistema, denominato in termine tecnico “a franamento”, consiste nel chiudere le gallerie dove più non si lavora, (togliendo) i sostegni e facendo crollare naturalmente le (pareti).
Il direttore che lo precedette, invece, usava il sistema del “ripieno”, portando terra dalla superficie per chiudere tali derivazioni e tamponando le aperture con strati di argilla e di pezzi di legno che in gergo si chiamano “bacchi”.
Ne risultava una specie di cemento, solidissimo, che garantiva, si dice, una chiusura ermetica.
Le conseguenze del “ripieno” sarebbero poi quelle di impedire che rimanessero vuoti nei quali il grisù possa raccogliersi.
Il sistema del “ripieno” risulterebbe molto più costoso di quello a “franamento”.
Secondo questa campana, dunque, Otello Tacconi sarebbe stato licenziato per “aver aperto gli occhi” in tal senso alla direzione.
Ancora: che un pericolo costante esisteva nella miniera di Ribolla lo dimostrò ciò che accadde tre mesi fa ai minatori Giovanni Pallini e Aroldo Bianciardi, sorpresi da uno scoppio di grisù, fortunatamente lieve, nello stesso punto in cui, press'a poco, si sarebbe verificata la tremenda esplosione di ieri mattina.
Le “frane di fuoco” non erano rare. Un giovanotto che non fa parte di consorterie “di colore” raccontava stamani che un suo fratello, il quale lavora da ventitré anni nella miniera di Ribolla, tempo fa ebbe l'ordine di “attaccare” il campo carbonifero in un punto dove, davvero, la morte era in agguato. Ci andò contro voglia, con la sua squadra, e quando arrivarono sul posto tornarono via in tutta fretta. Le lampade si spegnevano denunciando la presenza del grisù. Poco dopo un ingegnere scese nel pozzo e fu applicato il “tappo” per isolare quella derivazione.
Tutto ciò dovrebbe dimostrare che i dirigenti conoscevano bene la situazione.
Infine si parla di fuochi che troppo spesso ardono nelle galleria.
Tuttavia a quelli non si dà un gran peso perché i fuochi non si dissociano dal carbone nelle viscere della terra.
Ma i minatori coi quali abbiamo parlato si lamentavano poi, passando ad altro campo, della rigidezza dei dirigenti, calcando le tinte sino, magari, a farli apparire spregiudicati e inumani.
Quanto alla protesta secondo la quale la miniera sarebbe sulla china della smobilitazione e perciò trascurata, gli stessi operai sottolineavano come da più di tremila del 1947 i lavoratori fossero scesi ora a 1119.

Spiegazioni tecniche.
Sentito e raccolto tutto ciò, si imponeva una visita alla direzione della miniera, ove abbiamo potuto parlare con il direttore ingegner Padroni e con il capo dell'ufficio stampa della Montecatini dottor Lanzillo.
Gli argomenti della doppia intervista ce li avevano giù forniti gli “accusatori”.
Smentite e precisazioni si sono susseguite. Anzitutto ci è stato detto che la pretesa smobilitazione di Ribolla è destituita da ogni fondamento. Le attrezzature sono sempre state efficienti, come nulla è stato mai trascurato per le misure di sicurezza.
In questi giorni è stato ultimato (doveva essere inaugurato il 15 maggio) l'impianto di un nuovo pozzo si 4 metri e 20 centimetri di diametro per il quale sono stati spesi, con gli accessori, 400 milioni di lire.
Il che farebbe, logicamente, cadere le accuse secondo del quali la Montecatini non avrebbe interesse a spendere quattrini a Ribolla, divisando di abbandonare l'impresa alla prima occasione favorevole.
Che la miniera sia largamente passiva è un dato di fatto. Ma, appunto per questo, si cerca di limitare il passivo spingendo al massimo la produzione con nuovi impianti.
Quanto al licenziamento di Otello Tacconi ci è stata smentita la ragione già riferita. Il Tacconi, come lo mostra il rapporto di un sorvegliante, sarebbe stato licenziato perché faceva propaganda sovvertitrice e si era svelato in pieno in un comizio tenuto dopo una sua lettera pubblicata dall0organo ufficiale del partito comunista.

Basta una scintilla.
La critica tecnica sul sistema “a franamento” ha trovato unanimi nel respingerla anche altri tecnici. Al cento per cento, le gallerie non si riempiono mai, nemmeno col sistema “a ripieno” il quale, anzi, presenta maggiori possibilità che il grisù si raccolga nei vuoti perché il lavoro è necessariamente più lento.
E i pericoli? Purtroppo i pericoli del grisù ci sono sempre nelle miniere di carbone. È dal carbone stesso che il dannato gas si sprigiona.
La miniera di Ribolla – i tecnici lo sanno bene – è particolarmente “difficile”.
Le ragioni sono queste: il “banco” è in posizione irregolare, incassato in un terreno argilloso che si dilata e si restringe dando origine a pressioni notevoli per le quali il grisù si forma in quantità superiore a quella di tante altre miniere.
Anche le probabilità dell'autocombustione sono superiori alla media.
“Ma proprio perché abbiamo piena cognizione di ciò – ha concluso l'ingegnere - la vigilanza è sempre stata spinta al massimo, e gli impianti di aerazione sono curatissimi”.
La Montecatini ha emesso, sull'argomento, anche un comunicato di cui riportiamo pochi punti essenziali:
“Ogni ricerca e indagine immaginabile e possibile sull'origine dell'esplosione è già in corso, e sarà proseguita e condotta a termine con tutta ampiezza e precisione. Ciò che fin da ora si può con certezza comunicare è che tutte le misure di sicurezza pienamente adeguate alla moderna e completa attrezzatura della miniera erano in perfetta efficienza. Il che fa fondatamente presumere che le cause che hanno determinato la sciagura si debbano attribuire, come purtroppo in tanti altri analoghi casi, a mera fatalità”.
Quali possono essere, in ipotesi, queste cause? Alla nostra domanda l'ingegner Padroni ha allargato le braccia che gli sono ricadute inerti lungo la persona, mentre il suo volto rifletteva l'atteggiamento doloroso e di rinuncia di chi a tu per tu con l'ineluttabile.
Normalmente, sappiamo che il grisù esplode quando viene a contatto con una fonte di calore superiore a una determinata temperatura. Può bastare, magari, la scintilla di un colpo di piccone.
Le miniere carbonifere di tutto il mondo vanno fatalmente soggette a questi tragici ricorsi. Spessissimo ce ne parlano le cronache del Belgio e dell'Inghilterra. Qui, a Ribolla, si ebbe una esplosione che mieté quattordici vite umane nel 1934.
L'ineluttabile, allora?

Chissà se anche l'inchiesta, pur completa e profonda e intelligente che sia, potrà darci una spiegazione.
Qui sotto, nello sconquasso, tutto è crollato, la ricostruzione della tragedia, nei suoi esatti termini, è più che problematica.
Coloro che avrebbero potuto dirci la verità, sono rimasti laggiù, straziati, a brandelli, vittime del lavoro, vittime della ricerca faticosissima e rischiosa del pane di tutti i giorni.
Ipotesi? Nessuno vuol prospettare, nemmeno per sogno, che una delle vittime abbia commesso un'imprudenza.
Il grisù non c'era, evidentemente, quando, poco tempo prima, altri lavoratori si trovavano nel cantiere sotterraneo. Ne avrebbero avvertita la presenza. E la squadra colpita dalla sciagura era scesa nel pozzo “Camorra”, era al lavoro da mezz'ora appena, allorché si verificò l'irreparabile.
Una ipotesi, affacciano alcuni vecchi minatori. Sentiamola: nell'attaccare il “banco” nel cantiere in efficienza, potrebbero quei disgraziati aver perforato una parete che immetteva in una vecchia galleria abbandonata e non bloccata sufficientemente, provocando una improvvisa e grande uscita di grisù.

Le ipotesi e la verità.
Abbiamo echeggiato il suono delle due campane.
Bisogna andare con i piedi di piombo, in fatto di responsabilità.
Non vorremmo che – secondo l'abominevole consuetudine dei nostri giorni – anche su questo immane lutto passasse il soffio ammorbante della demagogia.
Ribolla si è mutata, oltre che in una valle di lacrime, in un raduno di propagandisti della politica.
Gli “agit – prop” di tutta la provincia – e non solo della provincia – sono al lavoro.
Si fa presto a prospettare le cose nella luce (che non è luce, ma piuttosto tenebra) di una “verità artefatta”, interessata.
Se poi veramente ci fossero dei responsabili, sarebbe augurabile che fossero identificati e puniti, s'intende.
Ma i cittadini onesti non si accontenteranno mai delle chiacchiere e delle “manovre”.
Non ci sono che i morti, ora, che sono, orribilmente, la verità “vera”.
In silenzio e riverenti, ad essi noi tutti ci inchiniamo.

BEPPE PEGOLOTTI.

- Per gentile concessione di Roberto Calabrò.-

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