GIORNALE DEL MATTINO

del 30 ottobre 1958

***




UN TESTE INCERTO MOVIMENTA L'UDIENZA
AL PROCESSO PER RIBOLLA

Verona, 29.
Poco più di due ore di udienza stamani al processo per il disastro minerario di Ribolla, poi il dibattimento è stato rinviato, a modifica del calendario precedentemente stabilito, a lunedì 10 novembre.
Una udienza brevissima ma forse la più movimentata fra quante si sono tenute finora per la deposizione del minatore Girolamo Ciacci che ha sollevato numerose e vivaci contestazioni da parte del collegio di difesa.
Dopo decine e decine di testimoni di accusa che praticamente avvaloravano la tesi della difesa, il Ciacci è stato forse il primo che abbia sostenuto con un certo vigore, ma in verità non con molto successo, la tesi dell'accusa.
I primi contrasti si sono subito manifestati su una circostanza marginale, l'impianto di conduttura di acqua predisposto nelle gallerie per eliminare il pericolo rappresentato dalla polvere di carbone, che i periti definiscono un importante coefficiente della violenza dell'esplosione verificatasi il 4 maggio 1954.
“Dove lavoravo io – ha dichiarato il Ciacci – c'era molta polvere di carbone ma mancava l'acqua per bagnarla”.
“Però – ha precisato il presidente dott. Rodini – le tubazioni dell'acquedotto esistevano”.
“Si, c'erano, ma l'acqua non veniva”. Questa affermazione scatena una tempesta di contestazioni nei banchi della difesa ed il testimone finisce con l'ammettere: “Bè, c'era anche l'acqua, ma la tubazione era chiusa e bisognava chiamare il sorvegliante, l'unico che avesse la chiave per aprirla”.
Ancora più serrato è stato il contraddittorio quando si è giunti al punto critico del processo: se cioè l'esplosione aveva avuto il suo epicentro nella galleria 31 della falda ovest come sostiene l'accusa o nella falda est della sezione Camorra come sostiene la difesa.
“La galleria 31 era completamente devastata con tutte le rimonte franate fino all'ultimo dei tre tappi d'argilla che erano stati fatti per soffocare l'incendio da cui ebbe origine l'esplosione”, afferma il teste.
“Quando è sceso lei nella galleria?”.
“Due giorni dopo il disastro”.
“Ma se la galleria era stata chiusa con altri due tappi di argilla, che furono tolti solo il 25 maggio, ventun giorni dopo l'esplosione – dice l'avv. De Marsico – come fece il teste ad entrarci due giorni dopo?”.
“Mi potrò sbagliare di data – replica il Ciacci -. Comunque nella galleria ci sono stato, fino all'ultimo dei tappi di argilla”.
“Lo scoppio da che parte aveva inclinato le armature?”.
La risposta a questa domanda fondamentale è confusa: pare che il teste intenda dire che le armature erano inclinate verso est, particolare questo che avvalorerebbe le tesi di accusa, ma le contestazioni sono tutte incalzanti.
“Insomma – replica il presidente – mentre lei andava verso l'ultimo tappo di argilla, erano inclinate nel senso della sua marcia o in senso contrario?”.
“In senso contrario”.
“Allora erano inclinate verso ovest, non verso est come ha detto prima”.
Assai sbrigative invece sono state le successive testimonianze compresa quella dell'ing. Carlino Micheli del Corpo delle miniere.
Ai testimoni è stata data lettura delle deposizioni rese in istruttoria cui è stata chiesta conferma con qualche breve schiarimento.

(Archivio Roberto Calabrò)

Indietro