LA NAZIONE ITALIANA

del 23 ottobre 1958.

PARLANO I SUPERSTITI DI RIBOLLA

 

Scossi da un fragore terribile e avvolti da una massa di fumo dopo inauditi sforzi riuscirono a raggiungere una via d'uscita -
Rinviato a lunedì il processo di Verona

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Verona, 22 ottobre.
Oggi è venuto a deporre uno di coloro che poterono, insperatamente, uscire vivi dall'inferno.
Il minatore Mario Sbrana, questo è il suo nome, la mattina del quattro maggio, era sceso nelle gallerie di “Camorra” col primo turno, quello che monta alle sette. Un'ora e mezzo più tardi, fra le otto e trenta e le nove, sentì un colpo terribile, seguito da un fragore intenso e prolungato, come un brontolio; e subito dopo una ventata, a risucchio e vortice.
“Lì per lì ebbi l'impressione – ha raccontato lo Sbrana – che fosse crollato il pozzo 10, quello che manda l'aria in tutta la miniera. Buona notte, pensai. Ma non ebbi il tempo, né la possibilità di studiare più a lungo la situazione. In un attimo, dopo lo scoppio, mi trovai avvolto da una specie di ciclone : una spolverata, come si dice noi, mescolata ad una gran massa di fumo, così fitto che non si riusciva a vedere nemmeno la luce delle nostre lampade elettriche. Si cercò di farsi strada brancolando a tentoni. Provammo più volte senza venire a capo di niente. Alla fine, strisciando per terra (in basso c'era un po' meno fumo) e pigiando il fazzoletto sulla bocca, ce la facemmo ad arrivare al calo della '15', dove ci raggiunsero, alcuni secondi dopo, i minatori della '18'.
Si moriva asfissiati, e perciò si decise di tentare di arrivare a qualsiasi costo alla galleria di carreggio, quella dove passano i binari, e da qui raggiungere il pozzo di afflusso”.

L'unica carta
“Non c'era – ha proseguito il teste – altra carta che quella. Sicché via!, ci si buttò di corsa nel fumo e, trottando acquattati e trattenendo il respiro, riuscimmo a superare lo sbarramento. Arrivato in fondo, vicino alla 'diretta', capii che non era stata una frana del pozzo, ma una esplosione. Prima di entrare in miniera avevo visto un fumo denso venire fuori dall'imbocco della '32', così pensai che tutto fosse partito di lì, dal posto dell'incendio.
I vagoncini del carbone erano usciti tutti dai binari, deragliati e capovolti. Lo scoppio doveva essere stato violento. Si seguitò a camminare e, finalmente, eccoci alla 'diretta'; qui si respirava meglio, per via dell'aria che scendeva dal pozzo'10'.
Fu appunto qui, nella 'diretta', che trovai la salma del Vannini di Roccastrada. Aveva la testa fracassata, era rattrappito e tutto nero. Si continuò ancora verso gli ascensori e, poco più in là, sempre nella 'diretta', incontrammo il Piani, ferito, e lo aiutammo a venire fuori con noi.
Quando fui fuori, mi sentivo intontito e intorpidito, però pensai di farcela a tornare giù con le squadre di soccorso. Ma quando fui da capo all'ingresso di 'Camorra', mi presero e mi portarono all'infermeria”.
“Che cosa vi riscontrarono?” ha chiesto il presidente allo Sbrana.
“Sulle prime pensavano che fosse una intossicazione da ossido di carbonio. Invece era una cosa meno grave. Con tutto il fumo e la polvere che si era aspirata, mi era venuta una infiammazione alla laringe. Me la cavai con pochi giorni”.
Dopo lo Sbrana, ecco un altro dei superstiti, il minatore Aldo Belisari.
“Al momento dell'esplosione – ha detto il Belisari – io mi trovavo con la compagnia '14', nel settore detto 'dell'avanzamento'. Si stava lavorando da un'ora e mezzo, poco più, quando ad un tratto ecco arrivare quella cannonata, eppoi un gran rimescolio di polvere e di fumo. A tastoni arrivai nella galleria che si chiama 'intermedia', sperando di raggiungere un pozzino. Ma trovai soltanto aria infuocata. Allora tornai indietro e mi chiusi, con altri compagni, fra due porte d'aria; e rimanemmo lì, immobili, coi fazzoletti in bocca, a respirare pian piano: a tenere cioè, come si dice noi, 'l'aria in collo'.
Ma era aria cattiva anche quella, e soffocava. Allora s'imboccò la discenderia e di qui si riuscì a trovare la 'diretta'. Si era salvi”.
Ancora un sopravvissuto: Livio Radicchi, da Roccastrada. Era entrato anche lui col primo turno e lavorava dentro il pozzo '10'. Da quel punto egli avvertì non uno, ma due colpi consecutivi: uno forte, secco, l'altro più 'a rimbombo'.
Poi la grande spolverata. Ma l'uscita era vicina, e gli fu relativamente facile sbucare all'aria aperta: tanto sano e tanto salvo che poté, nella stessa mattinata, tornare giù con la spedizione di soccorso.
“Non accusaste nessun sintomo di intossicazione?”, si è informato il presidente.
“No, nulla”.
“Tornando in galleria, riusciste a capire quale zona era stata più danneggiata?”.
“Non ci badai, signor presidente. Badavo soltanto ai morti. Ne tirai fuori undici”.
La rassegna continua, poi, con una serie di testimoni “esterni”: Alberto Riboni, Ovidio Radi, Renzo Brunacci, Ermelindo Turchi. Fra un teste e l'altro viene brevemente interrogato anche l'ingegner Lionello Padroni, che è, come noto, l'imputato principale quale ideatore e organizzatore del tanto discusso metodo di lavorazione “a franamento” effettuato in luogo della tradizionale tecnica “a ripiena”.

Ipotesi attendibile
Il presidente ha voluto sapere dall'ingegnere se, nel periodo della sua gestione di Ribolla, si erano verificati, in precedenza, altri disastri. L'ingegnere ha risposto che negli anni in cui egli aveva diretto la miniera, c'erano stati soltanto due infortuni mortali, dovuti a fatalità. Niente esplosioni, comunque.
La più autorevole deposizione della giornata è stata quella dell'ingegner Giovanni Girolami, ispettore generale del corpo delle miniere.
In tale veste, il testimone partecipò ai primi accertamenti, aggregato alla commissione parlamentare d'inchiesta. Egli ha riferito di aver visitato Ribolla anche in precedenza, durante una ispezione alle miniere della Maremma da lui svolta nel marzo 1954 – due mesi, cioè, prima del disastro - e di non aver riscontrato nei nuovi sistemi di coltivazione nessuna palese irregolarità.
La tecnica “a franamento”, anzi, gli risultò pratica, efficace e sicura.
Prima di togliere la seduta (per rinviarla, in base al programma concordato, alla mattina di lunedì) il presidente ha chiesto all'ingegner Girolami un parere: era ammissibile, secondo lui, l'ipotesi avanzata dalla difesa? Era possibile, vale a dire, che lo scoppio fosse partito, anziché dalla falda
ovest per gas di distillazione, dalla falda est per grisù?
L'ingegner Girolami ha risposto che si tratta di una ipotesi attendibile.

MARIO CARTONI

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Per gentile concessione di Roberto Calabrò